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CENTRO DI PSICOTERAPIA
PSICOANALITICA

DISTURBO DA GIOCO D'AZZARDO (Gambling Disorder): Una soluzione sbagliata ad un problema giusto?

Giada Santori • Jan 01, 2020
Negli ultimi decenni, crescente è l’attenzione su quelle che vengono definite “new addiction” ovvero nuove dipendenze. Ma cosa si intende con questa definizione?  

Le nuove dipendenze racchiudono una serie di comportamenti ripetitivi, nei quali non è coinvolto l’uso di sostanze psicoattive, volti a ridurre gli stati emotivi – affettivi dolorosi. Fra queste si colloca il disturbo da Gioco D’azzardo, una condizione di sofferenza psichica che ha una storia lunga migliaia di anni ma che è divenuta emergente negli ultimi decenni, sollecitata dall’aumento di punti d’accesso (Sale giochi, Slot machine, VLT) e dalle connessioni internet che permettono di giocare in qualunque luogo e orario dal proprio smartphone. 

 Ma perché una persona può diventare dipendente dal Gioco al punto da non poterne più fare a meno?  

Numerosi sono i contributi scientifici che si sono occupati di comprendere la fenomenologia del comportamento dipendente, occorre pertanto chiamare in causa una serie complessa di fattori che insieme contribuiscono al manifestarsi della condotta compulsiva. Fra questi si ritrovano: una vulnerabilità genetica, che predispone alla possibile evoluzione del disturbo; la ricerca si sensazioni forti/con alti livelli di eccitazione (sensation seeking); vulnerabilità emotiva ed impulsività; vissuti di ansia, rabbia, colpa e depressione, che il giocatore cerca di lenire attraverso la dissociazione prodotta dal gioco. Esistono inoltre, una serie di fattori di rischio che possono incidere sulla manifestazione del disturbo, come la precocità dell’inizio del gioco (prima dei 15 anni), la presenza di traumi in età infantile e familiarità al gioco d’azzardo. 

Sulla base di quanto premesso, è possibile comprendere la dipendenza da gioco come “una conseguenza estrema dell’incontro tra una personalità fragile, che non riesce a tollerare e modulare affetti negativi e un comportamento potenzialmente nocivo ma capace di suscitare intense sensazioni positive o un generale obnubilamento della coscienza”. (Lingiardi - Gazzillo, 2014) 

A livello neurobiologico, si ritrovano le origini della dipendenza nel cosiddetto “Reward System” ovvero il circuito della ricompensa che è quell’area del cervello che viene stimolata dalla condotta compulsiva del gioco analogamente a quanto accade nell’abuso di sostanze. Ciò che accade è che tale circuito è potentemente coinvolto nella gratificazione che si associa a sensazioni soggettive di piacere: perciò si desidera ripetere un’azione perché in precedenza ha prodotto intense sensazioni positive. In questo modo si consolidano le associazioni tra gli effetti del comportamento disfunzionale ed i contesti ad esso correlati. 

In questa prospettiva il gioco, persegue gli obiettivi di ottenere vitalizzazione e divertimento, istaurandosi al confine “tra l’ammirabile avventurosità dell’esploratore e il bisogno compulsivo di qualcuno privo di relazioni di attaccamento e di una vita interiore che lo sostenga”. (Lichtemberg, 2011) Così, colui che è alla ricerca spasmodica di rischi si perde dietro l’eccitamento e la fantasia di successo e adulazione, uno stato affettivo dissociato nel quale le conseguenze negative non trovano posto. Infatti il la compulsione al gioco ha un effetto regolatore legato al piacere, proprio a causa degli effetti neurobiologici che scatena.

La persona affetta da dipendenza non può essere vista come portatrice del desiderio inconscio di nuocere a sé stessa, bensì come un individuo che nell’illusione di procurarsi sentimenti piacevoli si rende schiavo di un comportamento.  

D’altronde addiction è un termine di derivazione latina che indica proprio una condotta che rende l’individuo schiavo. La persona che soffre di dipendenza infatti, necessita di un oggetto esterno finalizzato alla gestione del dolore, della frustrazione e del disagio psichico. Infatti l’esperienza soggettiva di non avere a disposizione qualcuno che dia sollievo e sicurezza, diviene una fonte di disagio spesso molto più grande di quanto non lo fosse originariamente la prima fonte del disagio stesso. Ciò accade in maniera preponderante in soggetti in cui si riscontra un maternage inadeguato con conseguente fallimento delle relazioni primarie, rinforzato da fattori temperamentali. Infatti, un bambino che non ha avuto esperienze di rispecchiamento e riconoscimento del proprio Sé sufficientemente buone, avrà difficoltà nella simbolizzazione perciò molti conflitti psichici trovano risoluzione temporanea nel passaggio all’azione (comportamento di gioco o utilizzo di sostanze psicoattive). Ciò segnala una inconciliabilità di bisogni psichici contraddittori che non trovano possibilità di elaborazione nel registro mentale. Il bambino viene, perciò, chiamato precocemente al confronto con la realtà e con la separatezza della madre, e ripiega sull’utilizzo massiccio di oggetti- sé disfunzionali con lo scopo di lenire le proprie angosce primitive. In tal senso viene ostacolata quella che lo psicoanalista Heinz Kohut definisce “interiorizzazione trasmutante” che permette l’introiezione di immagini interne capaci di funzionare da regolatori psichici e favorisce lo sviluppo di una autentica capacità di pensare, sentire, giocare e immaginare con successo. Lo psicoanalista Joseph Lichtemberg segnala come “ la dipendenza sia un disturbo del sistema affettivo: la trappola che dà la dipendenza è la soluzione sbagliata al problema di come raggiungere l’obiettivo affettivo in ciascun sistema motivazionale” (Lichtemberg, 2011) 

Fra i trattamenti maggiormente indicati per il trattamento e la riabilitazione da tale condizione di disagio si ritrovano oltre alla psicoterapia individuale, programmi riabilitativi di gruppo. Questi ultimi offrono la positiva esperienza dell’intimità e dell’affiliazione, della connessione e dell’appartenenza. Il più noto è quello dei Giocatori Anonimi, che si rifà alla filosofia degli Alcolisti Anonimi dei 12 passi. Il setting gruppale favorisce e promuove il cambiamento mediante il confronto e l’identificazione con gli altri utenti del gruppo e grazie ai fattori terapeutici peculiari della terapia di gruppo. Tale contesto ha un ruolo centrale anche nell’infusione della speranza tra membri del gruppo proprio perché all’ interno di esso la persona può entrare in relazione con persone che, affette dalle stesse difficoltà hanno potuto trovare gli strumenti per uscire dal circolo doloroso della dipendenza e riconferire al proprio Sé una nuova e più autentica vitalità. Nella terminologia Kouttiana il gruppo a 12 passi fornisce una forma di esperienza di oggetto - sé alteregoica o gemellare, entrambe vitalizzanti e calmanti. Attraverso la gemellarità il gruppo fornisce conferme per condividere, tentare di cambiare, oltre al riconoscimento di quanto sia difficile l’obiettivo da raggiungere.  

L’aspetto temporale, diviene centrale nel trattamento delle dipendenze. Occorre tener presente che può essere necessario “un tempo considerevole prima che il suono di fondo dell’attività che dà dipendenza venga sostituito dal suono di fondo di un senso adattivo di sé come agente tra i sistemi motivazionali”. (Lichtemberg, 2011) 

 

Lichtemberg D. Joseph, Una risposta sbagliata ad una giusta domanda - prevenzione delle dipendenze comportamentali, Convegno internazionale ISIPSè, Piazza del Campidoglio, Roma 25-26/03/2011. 

Gazzillo F. - Lingiardi V., La personalità e i suoi disturbi, Milano, Cortina 2014. 

 
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