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CENTRO DI PSICOTERAPIA
PSICOANALITICA

COVID19: il TEMPO che ci cambia

Giada Santori • Apr 25, 2020

Covid19: il tempo che ci cambia

Immergersi in una riflessione sul periodo storico che stiamo vivendo, richiama necessariamente la considerazione della dimensione temporale. Ma cosa significa?  

Il tempo appartiene e scandisce la condizione umana, e mai come in una situazione di ambiguità e di fragilità la nostra percezione di esso si modifica. Lo psichiatra italiano, Eugenio Borgna, ha da sempre fornito una lettura magistrale della fenomenologia del tempo, dividendo al livello di significato il tempo della clessidra o delle lancette dell’orologio, dal tempo vissuto. Questa distinzione vuole sottolineare come il tempo dell’io, il tempo psichico abbia delle oscillazioni e dei movimenti radicalmente diversi rispetto al tempo che scorre nel suo naturale corso. In questo momento, c’è un tempo che tutti condividiamo e che si rifà allo scandire dei giorni e delle settimane caratterizzate da ondate di informazioni legate all’ emergenza; ed un tempo interiore che assume forme, ma soprattutto significati diversi e peculiari per ognuno di noi. Per alcune persone il tempo psichico può arrestarsi nella sua evoluzione, chiudersi nei momenti del passato, negando inevitabilmente l’esperienza presente e futura, che si oscura e si cela di malinconia. Per altri ancora, sulla base dei progetti esistenti prima dell’emergenza e che hanno assistito all’ impossibilità di quella realizzazione, il tempo può svuotarsi dell’idea del futuro e radicarsi in un presente che però diviene non integrato con la propria esistenza e rischia così di svuotarsi di significato.  

Dove stiamo andando? Che direzione prenderà questa situazione e quali conseguenze avrà?  

E’ inevitabile che ognuno di noi si sia posto questi interrogativi, e che sulla base del proprio vissuto abbia conferito a questi un significato diverso. Quello che il tempo del Covid ci impone è la necessità di stare in una situazione che la nostra mente non è abituata a tollerare ed elaborare. Esistere in un tempo in cui la libertà personale è fortemente limitata, in cui la volontà non è più così personale ma diviene quasi collettiva. Non possiamo fare quello che vorremmo.  

Nell’agire quotidiano, ognuno di noi mette in atto una serie variegata di strategie di coping, che ci aiutano a fronteggiare le varie difficoltà e che modificano le nostre abitudini così da allinearsi con ciò che ci fa stare bene e ci fa sentire in equilibrio, ed allontanare ciò che ci provoca fastidio o dolore. La realtà della quarantena è entrata a gamba tesa nella vita di tutti, implicando un riadattamento delle nostre strategie e consuetudini, dalle più semplici alle più complesse minando la coesione del nostro Sé. Le nostre strategie adattive e difensive hanno subito un turbamento significativo costringendoci in parte ad abbandonarle per lasciar spazio a nuovi modi di essere in relazione e di “essere nel mondo”, pagandone costi più o meno elevati a seconda delle strutture di personalità di ognuno. Le motivazioni alla base dell’esperienza umana infatti, sottendono a specifici bisogni, i quali si modellano e cambiano sulla base di numerosi fattori, primo fra tutti quello dell’incontro intersoggettivo. La situazione attuale ha comportato una ridefinizione dei nostri bisogni, pertanto una motivazione che poteva essere predominante in un dato momento (ad esempio prima dell’insorgere dell’emergenza) può essere inglobata e modificarsi come conseguenza di eventi e circostanze sia esterne che soggettive. In questa prospettiva lo sviluppo umano può essere meglio compreso come “processo intrinsecamente attivo, che crea le proprie categorie, le proprie intenzioni, i propri significati e obiettivi, e i propri sistemi motivazionali” ( Lichtenberg, Lachmann, Fosshage 2011 pag 48) 

A questo discorso ritengo opportuno includere che l’essere umano nelle situazioni di pericolo attiva “il comportamento di attaccamento” geneticamente predeterminato e che coincide con “quella forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in grado di affrontare il mondo in modo adeguato” (Bowlby, 1988 pag. 25) Se teniamo presente questo aspetto, vediamo come in questo momento di emergenza per garantirci sicurezza e protezione, siamo costretti invece a stare lontani e mantenere la cosiddetta “distanza di sicurezza”. Questo aspetto diviene particolarmente intenso per tutte quelle persone che con l’arrivo dell’emergenza sono state costrette a rimanere lontane dai propri cari, per questioni di varia natura, ed hanno dovuto misurarsi con l’impossibilità di raggiungerli e condividere questo tempo. 

Sulla base di queste riflessioni si evidenzia come l’organizzazione del nostro Sé ha subito notevoli perturbazioni; da un lato esistono tutta una vasta sfera di situazioni di criticità, basti pensare a nuclei familiari conflittuali, che quotidianamente sopravvivono mettendo in atto strategie di evitamento (più o meno attivo) dell’altro e compensatorie. In queste condizioni ritrovarsi costretti a stare in relazione contro la propria volontà ha lasciato spazio ad una serie di comportamenti che nei casi più gravi sfociano, purtroppo, in comportamenti distruttivi. Dall’ altra parte però, esistono molte esperienze positive e di condivisione che la condizione attuale può aver portato alla luce. I bambini ad esempio, nella società attuale hanno sempre meno opportunità di osservare i genitori a lavoro, o di partecipare emotivamente attraverso immagini concrete, alla competenza dei genitori. Solitamente i bambini sono abituati ad osservare il comportamento dei genitori nelle loro ore di svago, che fornisce senz’ altro nutrimento emotivo; ma come segnala lo psicoanalista E. Kohut, “ non forniscono al Sé nucleare del bambino, lo stesso nutrimento della partecipazione emotiva alle attività della vita reale”. ( Kohut, 1977 pag.236) La necessità ad una vicinanza intensa sperimentata in questi giorni contiene aspetti evolutivi importanti che riguardano un maggiore livello di intimità e stimolazione psichica, oltre che fisica, nelle situazioni familiari e sociali in cui non ci siano condizioni di fragilità psicologica significativa. In queste ultime, purtroppo, il venir meno della rete sociale e lo sconvolgimento delle abitudini può comportare condizioni di importante fatica e fragilità psichica. 

Il tempo che questa situazione ci ha messo a disposizione, prenderà forme e direzioni diverse a seconda della persona che le sperimenta e delle relazioni in cui è immersa. Un tempo che impone a guardarsi dentro e non rinconcorrere i nostri ritmi frenetici, può stimolare o facilitare la presa di consapevolezza di situazioni che rimanevano “sullo sfondo” nella nostra esperienza quotidiana. Se la società moderna ci impone di essere connessi, e nel modo più “ideale e perfetto” possibile, oggi abbiamo la possibilità di connetterci e guardare alle nostre parti interne, riconoscere quali di esse necessitano di più cura e attenzione. Quello che, purtroppo, l’era moderna ci impone spesso di mettere in secondo piano e nelle situazioni peggiori di rimuovere, sono proprio le nostre parti più fragili e spesso più autentiche. Possiamo pensare che questa esperienza ci conduca a volgere uno sguardo di tenerezza verso di esse. Nasciamo e viviamo in relazione, ed è da lì che le nostre ferite provengono ma è anche all’ interno delle stesse relazioni che possono essere salvaguardate.  

“La nostra fragilità è radicalmente ferita dalle relazioni che non siano gentili e umane, ma fredde e glaciali, o anche solo indifferenti e noncuranti. Non siamo monadi chiuse, e assediate, ma siamo invece vorremo disperatamente essere, monadi aperte alle parole e ai gesti di accoglienza degli altri, e quando questo non avviene, le dinamiche relazionali si fanno oscure e arrischiate: dilatando fatalmente le nostre fragilità e e nostre ferite, le nostre insicurezze e le nostre debolezze, le nostre vulnerabilità”. (Borgna, 2014 pag. 9) 

 

Bibliografia 

Borgna E., La fragilità che è in noi, Einaudi, Torino, 2014. 

Bowlby, J. (1988) Una base sicura, trad, it., Raffaello Cortina, Milano, 1989. 

Kohut H. (1977) La guarigione del Sé, trad. it., Boringhieri, Torino, 1980. 

Joseph D. Lichtenberg, Frank M. Lachmann, James Fosshage (2011) I sistemi motivazionali, trad. It., Il Mulino, Bologna, 2012. 

 
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